Lavoro

Diritto del lavoro

Il diritto del lavoro regola le materie attinenti al rapporto di lavoro inteso in senso ampio; disciplinando sia i rapporti tra datore di lavoro e lavoratore che le relazioni sindacali, nonché quelle afferenti le assicurazioni sociali e previdenziali.

Uno strumento fondamentale della tutela del lavoratore, oltre alle leggi ed alle fonti internazionali e comunitarie, è il contratto collettivo di lavoro. Funzione primaria del contratto collettivo è quella di integrare e migliorare le tutele offerte al lavoratore dalla legge, adattandole ai vari tipi di contesti (professionale, merceologico, geografico..). La legge spesso rinvia al contratto collettivo, fissando solo determinati principi e lasciando a quest’ultimo la peculiare disciplina. Gli attuali contratti collettivi non hanno efficacia generale obbligatoria in quanto contratti di diritto privato stipulati tra soggetti privati (le organizzazioni dei datori e dei lavoratori). Essi trovano applicazione soltanto per i soggetti (datore di lavoro e lavoratore) che siano membri di dette associazioni sindacali o che vi abbiano fatto espresso rinvio nel contratto individuale di lavoro.

-Rapporto di lavoro

L’obbligazione di lavorare è il presupposto imprescindibile del rapporto di lavoro. Da un lato il lavoratore si obbliga personalmente alla prestazione lavorativa e dall’altra vi è l’obbligazione in capo al datore di lavoro della retribuzione.

Il rapporto di lavoro, in genere è sottoposto ad un patto di prova liberamente recedibile da entrambe le parti, che si pone come condizione risolutiva del rapporto lavoristico. Decorso tale periodo valgono le ordinarie tutele contro il licenziamento ad nutum del lavoratore.

-Mansioni e cambiamenti

Compete al datore di lavoro il potere di servirsi, a seconda dei periodi, di una determinata mansione tra quelle previste al momento dell’assunzione, ricomprese in una “qualifica” di individuazione sindacale. Tale potere viene chiamato potere direttivo ed è configurabile come potere giuridico in quanto determina le modalità dell’adempimento dell’obbligazione in capo al lavoratore: modalità che va seguita dal lavoratore, il quale è inadempiente anche se svolge un’attività prevista dal contratto (o dagli accordi collettivi) ma non indicata dal datore di lavoro al momento dell’esercizio del potere direttivo.

Il lavoratore, a seguito di esercizio unilaterale del potere del datore di lavoro (c.d. ius variandi), di cui all’art. 2103 c.c., può essere adibito a mansioni diverse da quelle per le quali era stato assunto, purché non inferiori (demansionamento). L’assegnazione a mansioni superiori comporta immediatamente il diritto del lavoratore a percepire il trattamento retributivo corrispondente, se si protrae per un periodo superiore a tre mesi, diviene definitiva. Sono nulli patti contrari. Una limitata possibilità di deroga in peius è affidata alla contrattazione collettiva, nell’ambito di procedure volte a fronteggiare la crisi dell’impresa.

-Luogo di lavoro

La disposizione di cui all’art. 1182 c.c. prevede che il luogo dell’adempimento delle obbligazioni è determinato nel contratto o dagli usi o, in mancanza, desunto dalla natura della prestazione o di altre circostanze. Il luogo di lavoro può essere cambiato unilateralmente dal datore di lavoro: tale potere non ha limiti se il trasferimento avviene all’interno della stessa unità produttiva, può essere effettuato soltanto per ragioni tecniche, organizzative o produttive se avviene in diverse unità produttive.

-Durata della prestazione di lavoro

Il contratto di lavoro subordinato è un contratto di durata che, pertanto, prevede l’adempimento di obbligazioni continuative da adempiere nel tempo. L’orario di lavoro è disciplinato solitamente dalla contrattazione collettiva, nonostante l’art.36 della Costituzione ponga dei limiti dell’orario di lavoro da stabilire con legge. La legge più recente è il d.lgs. n.66 del 2003, che cambia il limite tassativo precedente di orario fisso giornaliero, stabilendo che il lavoratore ha sempre e comunque diritto ad almeno 11 ore di riposo ogni 24 ore.

L’orario settimanale, invece, si divide normalmente in 40 ore lavorative a settimana, riducibili dalla contrattazione collettiva, fino a un massimo di 48 ore (variabile a seconda della contrattazione collettiva. La prestazione straordinaria è dovuta al datore in particolari situazioni di esigenza tecnica-produttiva che rendono impossibile l’assunzione di ulteriore personale o per cause di forza maggiore, grave pericolo e simili.

Il lavoro straordinario deve essere necessariamente retribuito con una maggiorazione del salario prevista dai contratti collettivi, sostituibile o integrabile soltanto da riposi aggiuntivi.

-Riposi, ferie e festività

Ogni lavoratore ha diritto ad un riposo giornaliero di almeno 11 ore consecutive.

Il lavoratore ha inoltre diritto a pause di non meno di 10 minuti durante l’attività lavorativa per occupazioni che richiedono più di 6 ore di lavoro.

Il riposo settimanale deve essere concesso ogni 7 giorni, durare almeno 24 ore consecutive e in coincidenza con la domenica. È ammesso lo spostamento del giorno di riposo ad un altro giorno settimanale soltanto per attività che non possono essere sospese la domenica, ma in tal caso il lavoratore deve godere delle maggiorazioni. La legge prevede inoltre 11 festività infrasettimanali, disciplinando anche il trattamento economico nel caso non vengano godute o coincidano con la domenica o con il giorno destinato al riposo settimanale.

Le ferie invece hanno carattere anche ricreativo, pertanto non devono in genere durare meno di quattro settimane e devono essere godute dal lavoratore in modo continuativo possibilmente. Sono incompatibili con lo stato di malattia del lavoratore e non possono essere godute durante il preavviso di licenziamento.

Almeno quattro settimane di ferie per anno devono essere godute (di cui almeno due nell’anno di maturazione) e non possono essere sostituite da alcuna indennità in denaro.

-Potere disciplinare

Il datore di lavoro può predisporre di un potere disciplinare quando il lavoratore attua condotte che violano i doveri di osservanza e diligenza richiesti nella sua attività lavorativa, dovere di fedeltà e a causa di ogni inadempimento relativo all’obbligazione lavorativa,

Il codice civile all’art. 2106 pone soltanto due limiti all’esercizio di tale potere: le sanzioni possono essere irrogate solo in caso di effettivo inadempimento dell’obbligazione lavorativa e devono comunque essere proporzionate.

L’esercizio di questo potere è condizionato dall’adozione, all’interno dell’azienda, di un codice disciplinare aziendale,indicando le infrazioni e le relative sanzioni. Tale codice va portato a conoscenza dei lavoratori.

-Sicurezza del personale, obbligo del datore di lavoro

Il Codice Civile all’.art. 2087 pone un obbligo in capo al datore di lavoro di garantire la sicurezza personale del lavoratore.

In particolare, ai sensi del D.Lgs. n. 626/1994, il datore di lavoro ha l’obbligo di:

l        designare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, gli eventuali addetti al servizio stesso, gli incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e di pronto soccorso ed il medico competente;

l        innovare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e della sicurezza del lavoro, ovvero in relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione;

l        richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione;

l        fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale;

l        adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza ed informa i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;

l        consentire ai lavoratori di verificare, mediante il rappresentante per la sicurezza, l’applicazione delle misure di sicurezza e di protezione della salute e consente al rappresentante per la sicurezza di accedere alle informazioni ed alla documentazione aziendale in materia;

l        attuare provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l’ambiente esterno;

l        predisporre le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell’evacuazione dei lavoratori, nonché per il caso di pericolo grave e immediato. Tali misure devono essere adeguate alla natura dell’attività, alle dimensioni dell’azienda, ovvero dell’unità produttiva, e al numero delle persone presenti;

l        assicurarsi che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni. La formazione deve avvenire in occasione dell’assunzione, del trasferimento o cambiamento di mansioni, dell’introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e preparati pericolosi.

Mobbing

Il mobbing è un fatto illecito consistente nella sottoposizione del lavoratore ad azioni che, se pur singolarmente considerate, non presentano carattere illecito, unitariamente considerate risultano moleste e attuate con finalità persecutorie, tali da rendere penosa per il lavoratore la prosecuzione del rapporto di lavoro.

In particolare, si tratta di un comportamento, reiterato nel tempo, da parte di una o più persone, colleghi o superiori della vittima, teso a isolarla e a respingerla dall’ambiente di lavoro, con conseguenze negative dal punto di vista sia psichico sia fisico.

Il cd. “mobbing” è caratterizzato da diversi elementi essenziali quali : l’aggressione o persecuzione di carattere psicologico.

Si distingue, nella prassi, il mobbing verticale quando le condotte persecutorie e reiterate sono compiute da un superiore, dal mobbing orizzontale quando tali comportamenti sono posti da un collega al fine di ad isolarla, privarla apertamente della ordinaria collaborazione, del normale dialogo e del rispetto.

Questa pratica è spesso condotta con l’obiettivo di indurre la vittima ad abbandonare da sé il lavoro, senza quindi ricorrere al licenziamento o per ritorsione a seguito di comportamenti non condivisi (ad esempio, denuncia ai superiori o all’esterno di irregolarità sul posto di lavoro), o per il rifiuto della vittima di sottostare a proposte o richieste immorali (sessuali, di eseguire operazioni contrarie a divieti deontologici o etici, etc.) o illegali.

Per potersi parlare di mobbing, l’attività persecutoria deve durare più di 6 mesi e deve essere funzionale alla espulsione del lavoratore, causandogli una serie di ripercussioni psico-fisiche che spesso sfociano in specifiche malattie (disturbo da disadattamento lavorativo, disturbo post-traumatico da stress) ad andamento cronico.

Va peraltro sottolineato che l’attività mobbizzante può anche non essere di per sé illecita o illegittima o immediatamente lesiva, dovendosi invece considerare la sommatoria dei singoli episodi che nel loro insieme tendono a produrre il danno nel tempo. In effetti, l’ingiustizia del danno, vale a dire dell’evento lesivo non previsto né giustificato da alcuna norma dell’Ordinamento giuridico, deve essere sempre ricercata valutando unitariamente e complessivamente i diversi atti, intesi nel senso di comportamenti e/o provvedimenti.

-Responsabilità datore di lavoro

Il datore di lavoro risponde del danno da mobbing (vale a dire l’aggressione alla sfera psichica del lavoratore) ex art. 2087 c.c., a nulla rilevando che le condotte materiali siano state poste in essere da colleghi di pari grado della vittima, in quanto quel che rileva unicamente è che il datore sapesse – ovvero potesse sapere – di quanto stava accadendo.

La  Corte di Cassazione civile, sez. lav. 23 marzo 2005, n. 6326, ha affermato che del danno da mobbing risponde il datore di lavoro, per “culpa in vigilando”, anche quando sia stato causato dai colleghi di lavoro della vittima.

In ipotesi di mobbing, la lesione dei diritti fondamentali del lavoratore è produttiva di danno esistenziale ravvisabile nelle ferite inferte alla sfera di autostima ed eterostima in ambito lavorativo ed alla immagine professionale del lavoratore medesimo, ridimensionata senza sua colpa a seguito di quanto subito dai colleghi di pari grado (c.d. mobbing orizzontale) e/o dai superiori (mobbing verticale o bossing): tale danno alla professionalità del lavoratore, tutelata dagli art. 2, 35 e 41 cost., è risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c.c.

Il lavoratore vittima del mobbing che provi che le conseguenze pregiudizievoli sono in rapporto di causalità con le attività persecutorie compiute per nuocerlo ha diritto alla riparazione di tutti gli aspetti non patrimoniali di danno sofferti, anche se per la liquidazione non potrà che farsi ricorso al criterio dell’equità, trattandosi di riparare la lesione di valori inerenti alla persona.

-La tutela giuridica

In Italia non esiste una legge che disciplina la materia di mobbing e quindi il mobbing non è configurato come specifico reato a sé stante. Sebbene vi sono fonti normative che tutelano da azioni mobilizzanti.

Innanzi tutto, la Costituzione della Repubblica prevede alcune garanzia dell’individuo. Infatti, ai sensi dell’art. 32, riconosce la tutela della salute come diritto fondamentale dell’uomo; all’art. 35,  prevede la tutela del lavoro in tutte le sue forme; all’art. 41, vieta lo svolgimento della attività economica privata se esercitata in contrasto con l’utilità sociale o qualora rechi danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana.

Il codice civile all’art. 2043, stabilisce l’obbligo del risarcimento per chi cagioni ad altri un danno ingiusto. All’art. 2087 prevede che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

Altre normative di riferimento sono la legge 20 maggio 1970, n. 300, che prevede, all’art. 7, una  procedura disciplinare contro gli abusi del datore di lavoro ed all’art. 13  tutela il lavoratore dai comportamenti di dequalificazione professionale e l’art. 15 che sanziona con la nullità gli atti che abbiano finalità discriminatorie ai danni del lavoratore. Infine, il decreto legislativo 626/94, sancisce il diritto alla salute deve essere inteso non solo come assenza di malattia, ma anche come assenza di disagio.

E’ di assoluta importanza rilevare che grava sul lavoratore, che sostiene di aver subito comportamenti mobbizzanti e  che voglia  agire in giudizio  per il risarcimento del danno, l’onere di dare la prova delle condotte realizzate in suo danno, del danno patrimoniale o esistenziale subito, dell’eventuale incidenza di tale danno sulla sua integrità psico-fisica.

In particolare, il lavoratore vittima del mobbing che provi che le conseguenze pregiudizievoli sono in rapporto di causalità con le attività persecutorie poste in essere da datore di lavoro, ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale sofferto, per la cui liquidazione si farà ricorso ai criteri dell’equità, salvo che si dimostri un danno patrimoniale da lucro cessante cosiddetto da “perdita di chanche”, cioè per la perdita di occasioni di crescita lavorativa all’interno o all’esterno dell’azienda.

Per quanto concerne la misura del risarcimento, essa viene effettuata in base ad una valutazione cd.equitativa.

Nel caso in cui le condotte mobbizzanti siano poste in essere dai dipendenti del datore di lavoro nei confronti dei colleghi, il datore di lavoro risponde “se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno”. Data la difficoltà di fornire una simile prova, in questi casi quella del datore di lavoro appare una forma di responsabilità oggettiva.

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