Famiglia

La Famiglia di Fatto

Affianco alla famiglia legittima fondata sul matrimonio ed espressamente riconosciuta dalla nostra Costituzione, si pone la famiglia di fatto: quell’unione tra soggetti di sesso diverso non fondata sul  vincolo matrimoniale e che si basa sull’affetto e sul reciproco rispetto dei doveri familiari.

Questa forma di convivenza ha rilevanza giuridica qualora sussistano alcuni presupposti: stabilità e serietà di intenti. Precisamente la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha specificato che, al fine di distinguere tra semplice rapporto occasionale e famiglia di fatto, si deve tenere soprattutto conto del carattere di stabilità del rapporto, carattere che conferisce certezza al rapporto stesso e lo rende rilevante sotto il profilo giuridico.

– Tutela

L’unione familiare non fondata sul matrimonio riceve parziale e limitata tutela, in primo luogo quale formazione sociale in cui gli individui esprimono la loro personalità, secondo l’art. 2 Cost., e, poi, in conseguenza dell’influenza delle legislazioni straniere che sono rivolte ad ammetterne pieno riconoscimento.

Per quanto concerne la famiglia di fatto tra persone di sesso diverso piena rilevanza giuridica viene concessa solo alle situazioni concernenti i figli generati dai conviventi, i quali secondo quanto stabilisce l’art. 30 della Costituzione, non devono trovarsi in posizione deteriore rispetto ai figli legittimi. Per quanto riguarda, invece, il rapporto tra conviventi, non si ritiene sia possibile applicare le norme previste per la famiglia legittima e ciò lo si può evincere dal dettato dell’art. 29 Cost. atteso che questa norma attribuisce alla famiglia legittimamente costituita una particolare tutela, in considerazione della peculiarità e dell’importanza sociale svolta dalla famiglia quale luogo di formazione e sviluppo della persona.

La stessa tutela non viene riconosciuta alla famiglia di fatto in quanto manca in essa la formale assunzione, da parte dei conviventi, di un impegno socialmente rilevante.

Da tutto ciò consegue la difficoltà di disciplinare una situazione di fatto, anche se non sono del tutto assenti aperture nei suoi confronti, riconducendola nell’ambito delle formazioni sociali previste dall’art. 2 Cost. Tale soluzione permette di estendere alla famiglia di fatto quelle norme, proprie della famiglia legittima, che prescindono dall’esistenza di un vincolo formale.

Anche i rapporti patrimoniali tra i conviventi, così come quelli personali, non ricalcano puntualmente le norme previste per le unioni legittime. Infatti, ai conviventi non sono riconosciuti alcuni diritti fondamentali:

a)      se uno dei due conviventi necessita di un intervento medico urgente e rischioso, l’altro non può autorizzarlo, visto che non figura come parente;

b)      il convivente che collabora all’impresa dell’altro non ha nessun diritto se non è regolarizzato mediante contratto;

c)      se cessa la convivenza, il proprietario o l’intestatario del contratto d’affitto ha diritto a restare nell’abitazione, salvo un diverso accordo tra le parti;

d)      il convivente non può chiedere permessi di lavoro se l’altro si ammala;

e)      se la convivenza termina, il convivente in stato di bisogno non ha diritto a nessun sostegno economico da parte dell’altro;

f)        nel caso di morte di uno dei due conviventi e l’appartamento era di sua proprietà, quest’ultimo spetta agli eredi legittimi del defunto. Il convivente potrà continuare ad abitarlo solo se l’altro ne aveva disposto con testamento in suo favore; se invece la casa era in locazione, il convivente ha diritto di subentrarvi nel contratto;

g)      se uno dei partner è extracomunitario non può chiedere il rilascio/rinnovo del permesso o carta di soggiorno per convivenza con il partner italiano.

Tuttavia, la legislazione ordinaria e speciale attribuisce alla situazione della famiglia di fatto specifici effetti giuridici relativamente ad alcuni ambiti circoscritti.

l        D.L. n. 1726 del 27.10.1918:  è riconosciuta la corresponsione della pensione di guerra, in presenza di specifici requisiti, per la vedova, la promessa sposa, la convivente more uxorio;

l        art. 6 L. n. 356 del 13.03.1958: è riconosciuta assistenza, per i figli naturali non riconosciuti dal padre caduto in guerra, quando questo e la madre abbiano convissuto “more uxorio”, nel periodo del concepimento;

l        art. 2 D.p.r. n. 136 del 31.01.1958: considera famiglia anagrafica non solo quella fondata sul matrimonio e legata da rapporti di parentela, affinità, affiliazione ed adozione ma, ogni altro nucleo che si fonda su legami affettivi, caratterizzato dalla convivenza e dalla comunione di tutto o parte del reddito dei componenti per soddisfare le esigenze comuni, quindi anche la famiglia di fatto;

l        art. 1 L. n. 405/1975 (istitutiva dei consultori familiari): ricomprende tra gli aventi diritto alle prestazioni assistenziali anche le “coppie”;

l        art. 30 L. n. 354/1975 (Riforma dell’ordinamento penitenziario): attribuisce un permesso al condannato, in caso di imminente pericolo di vita di un familiare, indicando anche il convivente;

l        art. 5 L. n. 194/1978 (interruzione di gravidanza): permette la partecipazione al procedimento di chi è indicato “padre del concepito”, quindi anche in presenza di convivenza more uxorio;

l        art. 44 L. n. 184/1983: permette in alcuni casi, l’adozione a chi non è coniugato, concessione attribuita quindi, anche alla famiglia di fatto;

l        art. 17 L. n. 179/1992: permette la sostituzione, al socio assegnatario defunto del convivente, purché documenti lo stato di convivenza da almeno due anni dal decesso.

Adozioni

L’art.6 della Legge n. 184/83 stabilisce che l’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni, o per un numero inferiore di anni se i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni, e ciò sia accertato dal Tribunale per i minorenni.

Tra i coniugi non deve sussistere e non deve avere avuto luogo negli ultimi tre anni separazione personale neppure di fatto.

L’età degli adottanti deve superare di almeno diciotto e di non più di quarantacinque anni l’età dell’adottando, con la possibilità di deroga in caso di danno grave per il minore.

Non è preclusa l’adozione quando il limite massimo di età degli adottanti sia superato da uno solo di essi in misura non superiore a dieci anni.

Dove si presenta la domanda

I coniugi, con i requisiti previsti dalla legge, possono presentare domanda al Tribunale per i minorenni, specificando se sussiste la disponibilità ad adottare più fratelli ovvero minori che si trovino nelle condizioni indicate dall’art. 3, comma 1, della Legge 5 febbraio 1992, n.104, concernente l’assistenza, l’integrazione sociale ed i diritti delle persone handicappate.

Possono essere presentate più domande anche successive a più Tribunali per i minorenni, purché in ogni caso se ne dia comunicazione a tutti i tribunali precedentemente aditi.

– Come si presenta

La domanda di disponibilità all’adozione, in carta semplice, corredata dei documenti che consentono di confermare il possesso dei requisiti richiesti, ha validità tre anni e, allo scadere del termine, può essere rinnovata, ripresentando la documentazione per comprovare la permanenza dei requisiti richiesti.

Si suggerisce con l’avvertenza di richiedere ai Tribunali per i minorenni la presentazione dei seguenti documenti a corredo della domanda:

l        Certificato di nascita dei richiedenti;

l        Stato di famiglia;

l        Dichiarazione di assenso all’adozione da parte dei genitori dei richiedenti, resa nella forma della dichiarazione sostitutiva di atto notorio, oppure, in caso di decesso certificato di morte dei genitori dei richiedenti;

l        Certificato rilasciato dal medico curante;

l        Certificati economici: mod.101 o mod. 740 oppure busta paga;

l        Certificato del Casellario giudiziale dei richiedenti;

l        Atto notorio oppure dichiarazione sostitutiva con l’attestazione che tra i coniugi adottanti non sussiste separazione personale neppure di fatto.

– Accertamenti sulla capacità della coppia

Il Tribunale per i minorenni dispone l’esecuzione di indagini volte ad accertare la capacità di educare il minore, la situazione personale ed economica, la salute, l’ambiente familiare dei richiedenti, i motivi della domanda. Tali indagini possono essere effettuate ricorrendo ai servizi socio-assistenziali degli enti locali, alle competenti professionalità delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere.

L’ordinamento dà ampia libertà organizzatoria ai singoli tribunali, pertanto potranno essere svolti colloqui con il giudice minorile togato od onorario o con equìpe di specialisti o essere richieste diverse formalità nella presentazione delle domande.

Tali indagini dovranno essere avviate e concluse entro 120 giorni, prorogabili per non più di una volta.

In ogni momento devono essere fornite, su richiesta, informazioni sullo stato del procedimento.

– Affidamento preadottivo

Il Tribunale per i minorenni, sulla base delle indagini effettuate, sceglie tra le coppie che hanno presentato domanda, quella più idonea per il minore.

Il provvedimento di affidamento preadottivo è disposto con ordinanza, sentiti il pubblico ministero, gli ascendenti dei richiedenti ove esistano, il minore che abbia compiuto gli anni dodici ed in alcuni casi anche il minore di età inferiore.

Nel corso dell’affidamento sarà svolta dal tribunale un’attività non solo di controllo ma anche di sostegno.

L’affidamento preadottivo può essere revocato in presenza di gravi difficoltà.

– Dichiarazione di adozione

Decorso un anno dall’affidamento, con possibilità di proroga di un anno, il tribunale, se ricorrono tutte le condizioni, pronuncia l’adozione.

Con l’adozione cessano i rapporti dell’adottato con la famiglia di origine. L’adottato acquista lo stato di figlio legittimo degli adottanti ed il loro cognome.

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